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Finchè morte non ci separi

21/11/20090

L’amore è pur senza intenzione, un atto antisociale, perché ogni volta che giunge a realizzarsi fa a pezzi il matrimonio e lo trasforma in ciò che la società non vuole che sia: la rivelazione di due solitudini le quali creano di per se stesse un mondo che rompe la menzogna sociale, sopprime tempo e lavoro e si dichiara autosufficiente.

Il labirinto della solitudine, Octavio Paz

Di nuovo qui, a trattare un argomento di cui tanto si è parlato e di cui tanto si parlerà ancora: il rapporto uomo donna. Perché? Perché sebbene ci sia tanta inflazione di dibattiti, di libri, di parole sull’argomento, ancora non siamo venuti a capo di quella matassa che è l’Amore, che è quel mistero che fa sì che un uomo ed una donna tra centinaia di persone si incontrino, si scelgano, si amino, creino una famiglia, abbiano dei figli e, talvolta, infine, si lascino. Di fatto, per quanta importanza possano avere il lavoro, i propri interessi, le proprie passioni, la continuità della Vita è garantita solo da questo incontro, solo dal fatto che un giorno, in uno sguardo, due persone si ritrovino e facciano poi, di questo sguardo, un mondo condiviso. La Vita nasce da questo e non è romanticismo, è biologia, anzi a dirla tutta a volte c’è ben poco romanticismo ma non è di questo che intendo parlare né del mistero dell’incontro tra un uomo e una donna, è la sua evoluzione e la sua durata che mi interessano, in un tempo in cui il matrimonio o comunque il rapporto di coppia in generale, sembrano avere una scadenza, una falce di morte già scolpita nel loro inizio, come una triste prefazione che già ci annuncia la conclusione. “ […] L’amore deve crescere gradualmente dal seme fino al frutto.

E ci vogliono anni perché un albero sia in grado di fare frutti. L’amore coniugale non ha niente a che vedere con il contratto matrimoniale. L’amore coniugale sorge in maniera molto semplice e facile. La crescita stessa, l’esperienza costante di nuovi passi, la scoperta di nuovi modi di vedere, la rivelazione di un nuovo modo di vedere del partner, non importa se piacevole o spiacevole, sono in se stessi un grande piacere. Mantengono la gente in movimento. Modificano la direzione naturale di sviluppo. Fanno diventare più belli di qual saponetta per la qualsiasi fa la pubblicità o reclame, e danno al viso la capacità di arrossire al momento giusto. […] . Così Wilhelm Reich parlava del matrimonio, come viaggio di scoperta, come evoluzione, come unione e separazione; più tardi nelle sue opere chiarirà come in realtà la rovina del matrimonio non è nel matrimonio stesso ma nell’educazione sessuofobica che riceviamo orientata al controllo, alla negazione del piacere ed all’imposizione di una monogamia contro natura. L’esclusività sessuale all’interno della coppia è un’ambizione, una pretesa di fedeltà che ha matrice puramente culturale ma non biologica. D’altronde, ciò trova conferma nella pratica clinica che mi ha visto spesso spettatore di storie in cui la mutilazione all’interno della coppia, o meglio ancora dell’individuo, era il cardine della relazione stessa, in una società culturalmente falsamente monogamica in cui i siti di sesso on-line sono sempre più frequentati da uomini e donne i cui compagni dormono spesso, in quello stesso istante, nella stanza accanto.

L’uomo, di fatto, possiede pulsioni eterogamiche che lo conducono fuori dall’alcova coniugale alla ricerca di nuove mete, di nuovi odori, sensazioni, emozioni, passioni, nuove e diverse energie con cui incontrarsi, alla ricerca di un senso di completezza che sembra irrimediabilmente perduto. Il rapporto fusionale con l’Altro ci conduce, ad un certo punto della storia, a separarci, a ricercare la nostra individualità, a riappropriarci di quelle parti che nella coppia non trovano espressione, un tentativo sembrerebbe sano di ristabilire i propri confini, un modo per riappropriarsi di sé tutti interi, anche di quei noi stessi che nella coppia non trovano accoglimento, non a caso spesso coloro che cerchiamo al di fuori della vita coniugale sono assai diversi dalla nostra compagna o dal nostro compagno abituali. Un essere umano libero è anche un essere umano capace di scegliere dove e con chi stare, senza la necessità di un vincolo matrimoniale o di un legame di potere del tipo “se mi tradisci ti lascio”, non sono la paura o il bisogno che dovrebbero unire due persone eppure è ciò che quasi sempre accade nelle storie “d’amore” o forse non “d’amore”, ma, d’altronde, non deve meravigliarci, solo una personalità integra e unitaria, emancipata dalle figure genitoriali ed anche dalle connesse istanze fusionali, può davvero essere sessualmente ed affettivamente libera. E credo sarebbe bene estendere i concetti di monogamia e di tradimento anche ad un ambito non sessuale, perché in realtà cerchiamo di possedere i nostri compagni di vita in molti modi, non solo sessualmente, ma violando il loro modo di essere, di vivere, si sentire, di amare, con centinaia di piccoli gesti che poi diventano una quotidianità angosciante e castrante, e tradiamo in altrettanti molteplici modi, venendo meno ad un progetto condiviso, ad un’idea della coppia, alla fiducia che l’altro riponeva nella nostra capacità di comprensione e di accoglimento, a quell’alleanza che fa sì che ci si senta insieme come avvolti in una seconda pelle, un Io-pelle, come lo definisce Anzieu.

La famiglia stessa, d’altronde, come l’idea dell’amore monogamico, è una creazione culturale. Nelle culture antiche, anche in luoghi assai distanti nel tempo e nello spazio, spesso la fecondazione della donna era imputata alla natura e, ripercorrendo la storia, ne rintracciamo alcune testimonianze: nella Grecia antica Afrodite, dea dell’Amore e della Bellezza, nasceva dalla spuma del mare, fecondata dai genitali del padre Urano che Cronos aveva gettato nel mare; nella Cina antica Yuan di Chiang, mettendo il piede su di un’orma del dio del cielo impressa a terra diventava madre di Hou-Tsi, un essere divino che simboleggiava il chicco di miglio, nato dall’incontro tra il dio del cielo, che fecondava la terra, e l’uomo; in Indonesia, nell’isola degli Eugolesi, detta anche Isola delle Donne, la tradizione matriarcale voleva che in origine l’isola fosse abitata da una popolazione discendente da donne, che potevano essere fecondate esclusivamente dal vento e dall’ingestione di alcuni frutti, nonostante potessero avere rapporti sessuali con gli uomini. La figura del padre non era, pertanto, indispensabile e non a caso, nel corso della storia, il suo ruolo ha avuto significati diversi e ambivalenti, configurandosi così come oggi lo intendiamo solo con l’avvento della famiglia patriarcale; la funzione del padre all’interno di essa diventa fondamentale per l’introduzione del bambino alla realtà, alla conoscenza, accompagnandolo verso la liberazione dal rapporto simbiotico con la madre, aprendogli le porte del mondo, del mondo tutto intero.

Qualcuno potrà eccepire che questo ruolo, nelle società tribali, era svolto dalla comunità e, quindi, siamo di nuovo alla messa in discussione della funzione paterna e della famiglia. Se il rapporto monogamico è contro natura, se il ruolo del padre in realtà sembrerebbe essere più un ruolo culturale che naturale, l’unione tra un uomo e una donna, per come tradizionalmente la concepiamo nel mondo occidentale, che significato ha oggi? Osho ci mostra le due facce della medaglia in poche righe. Afferma che “[…] Il matrimonio è una farfalla infilata in uno spillo. L’amore è un fiore vivo, se lo chiudi in una campana di vetro soffoca e muore, allora per cercare di tenerlo in vita lo trasformi in un fiore di plastica, sintetico, ma non è più un fiore, è un pezzo di plastica. Una rosa vera corre tutti i rischi dell’essere reale, è esposta al sole, al vento e alla pioggia… La libertà è un valore più elevato rispetto all’amore: pertanto, quando un amore distrugge la libertà, non merita di essere vissuto. La monogamia è solo un prodotto della nostra cultura. Genera monotonia e limita le tue opportunità di sperimentare sensazioni diverse attraverso nuove esperienze. Conoscere altre donne o altri uomini ti arricchisce e anche il rapporto con il tuo amato ne beneficerà […]”. Ma ci dice anche: “[…] Come può il matrimonio distruggere l’amore? Certo, è vero, viene distrutto nel matrimonio, ma è distrutto da voi, non dal matrimonio. È distrutto dalla coppia. Come può il matrimonio distruggere l’amore? Siete voi che lo distruggete, perché non sapete cos’è l’amore. Credete solo di saperlo, sperate e sognate di saperlo, ma non lo sapete davvero.

L’amore deve essere appreso: è la più grande arte che esista.[…]. […] Il matrimonio di per sé non ha mai distrutto nulla. Il matrimonio porta solo alla superficie qualsiasi cosa sia nascosta in te. Se c’è amore nascosto dietro e dentro di te, il matrimonio lo tirerà fuori. Se l’amore invece era solo un pretesto, una lusinga, prima o poi è destinato a scomparire. Il matrimonio è solo un’occasione per far uscire qualsiasi cosa dovevi portare in superficie. Non sto dicendo che l’amore viene distrutto dal matrimonio. L’amore viene distrutto dalle persone che non sanno amare. L’amore è distrutto perché in primo luogo non era amore: vivevi in un sogno e la realtà distrugge quel sogno; diversamente, l’amore è qualcosa di eterno, è parte dell’eternità. Se cresci, se conosci l’arte e accetti le realtà delle vita amorosa, allora l’amore crescerà giorno per giorno: il matrimonio sarà un’incredibile occasione per crescere nell’amore.[…]”. Dov’è la verità? Credo che nessuno la possegga, almeno non ce n’è una assoluta, ma una certezza, almeno, credo di possederla: la Verità è comunque sempre dalla parte dell’Amore. Se si vive nell’Amore non sarà il tradimento a spaventarci, non sarà un diverso modo di vedere la vita o una divergenza caratteriale, perché sapremo abbracciare l’Altro per quello che è senza pretesa alcuna di cambiamento e sapremo vederlo nella sua interezza, non solo nelle proiezioni che facciamo su di lui o su di lei, proiezioni spesso imperanti sulla nostra vista, quella di tutti, nessuno escluso.

Ecco perché il matrimonio può essere una miserabile prigione o un affascinante cammino di scoperta, perché non è fatto dall’istituzione ma dalle persone che lo vivono e lo sperimentano ogni giorno. Credo che il matrimonio oggi abbia ancora senso nella misura in cui siamo pronti a metterci in gioco e a rinunciare a trovarvi delle certezze e benché “… le sue vie siano ardue e ripide…”, per dirla alla Gibran, a lasciarci condurre dal cuore, anche quando questo ci porta lontano dalla persone che amiamo o che abbiamo amato. Se dovrà essere ritroveremo la strada di casa, altrimenti vorrà dire che altro ci attende. Ma con la stessa indulgenza e onestà dovremo saper attendere chi si allontana, dovremo aspettare senza rancori e saper riaccogliere l’amato che ritorna, se ritorna. Il matrimonio, in fondo, è una stazione, in cui è l’alternasi degli arrivi e delle partenze a scandire i giorni, in cui la presenza e l’assenza sempre si avvicendano a ricordarci che non è l’Altro che ci libera dalla nostra solitudine, semmai è l’Altro che ci consente veramente di incontrarla, di conoscerla come ontologicamente parte di noi ed, infine, di amarla. Non siamo diversi dai porcospini di Schopenhauer che provano a lungo ad avvicinarsi e ad allontanarsi, nell’intento di difendersi dal freddo, finendo ogni volta o col farsi male l’un l’altro con le spine reciproche allorquando si fanno troppo vicini, o col provare nuovamente freddo allorquando, per evitare il dolore, si allontanano, fino a che non riescono a trovare la giusta distanza che consente loro di scaldarsi senza farsi del male. Il matrimonio può essere un meraviglioso viaggio se si resta dalla parte della Vita ma, come in ogni viaggio, è bene tener conto che potranno esserci giorni troppo caldi o troppo freddi ai quali non eravamo preparati, giorni in cui i piedi bruceranno di dolore per il tanto cammino, giorni in cui saremo stanchi ma così stanchi da voler tornare a casa e potremmo spesso scoprire che in valigia non abbiamo alcun rimedio per tutto questo. Ma forse non c’è rimedio alcuno, forse c’è solo da vivere. Ad ognuno il compimento della sua opera d’arte.

 

Gianfranco Inserra

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